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Mobbing e diritto penale

Mobbing e diritto penale


Mobbing e diritto penale

 

Recenti precisazioni della Cassazione

(a cura dell'avv. Alberto Avidano)

 

Come noto, la corrente definizione di mobbing descrive il fenomeno come una condotta caratterizzata dalla mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti convergenti ad esprimere ostilità del soggetto attivo verso la vittima e di efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente, onde configurare una vera e propria condotta persecutoria nell'ambiente di lavoro.

 

Pur mancando di tale fattispecie una precisa figura incriminatrice penale, la figura di reato più prossima è quella dei maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione (art. 572 c.p.), per la cui punibilità dev'essere verificata la serie complessiva degli episodi lesivi contestati, in ordine alla loro sistematicità e durata dell'azione e nel tempo, le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione della condotta  (Si veda ad. es. Cass. pen. Sez. V, 09-07-2007, n. 33624)

 

Sul punto costituisce parametro di riferimento anche la Circolare Inps n. 95/bis del 2006, secondo la quale, in sintesi, gli elementi essenziali del Mobbing sono:

 

1)      l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico;

2)      la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo;

3)      il suo andamento progressivo;

4)      le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il lavoratore.

 

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha contribuito a delineare ulteriormente il quadro di responsabilità in capo al datore di lavoro per la condotta dei propri dipendenti in materia di mobbing.  Si tratta della sentenza n. 22858/08, con la quale i giudici hanno ribadito nuovamente che il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del dipendente. Da questo preciso obbligo discende la responsabilità del datore di lavoro anche quando la condotta materiale sia posta in essere da un altro dipendente. Non è sufficiente che il datore di lavoro tenti una pacificazione tra le parti, senza far seguire misure concrete e una vigilanza stretta sui fatti.

 

E’ importante anche la precisazione della Corte sui tempi della condotta illecita: poiché la condotta di mobbing presuppone non tanto un singolo atto lesivo, ma la reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, convergenti sia nell'esprimere l'ostilità verso la vittima sia nel mortificarla ed isolarla nell'ambiente di lavoro.  La sentenza in argomento ha però precisato che ” Se è vero, infatti, che il mobbing non può realizzarsi attraverso una condotta istantanea , è anche vero che il periodo di sei mesi è più che sufficiente per integrare l’ idoneità lesiva della condotta nel tempo.” 

 

 

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La presente notizia è stata redatta a cura dell’ avvocato Alberto Avidano, in Asti nel mese di novembre 2008.

 

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